Rovine in fondo al LAGO ma il lago c’è davvero?
pubblicato il 15 Novembre 2006 in Mondo Sommerso da Sabrina Monella e Franco Banfi

Stiamo percorrendo la strada statale 153 quando Dante mi dice: “Siamo arrivati”. Ma il lago dov’è? non lo vedo! Occorre voltare per una breve stradina fra i campi con le spighe del grano mosse dalla brezza, che sembrano onde del mare verdi, mescolate ai papaveri rosso acceso, costeggiare una recinzione coperta dall'alternanza di rovi smeraldini e rose selvatiche bianco rosate, oltrepassare un gorgogliante ruscello di acqua sorgiva che si getta in un fontanile in pietra, un filare di pioppi, salici, ontani... poi la distesa dell'acqua si rileva. Ed allora resto senza fiato. Per quella trasparenza attraverso cui ammiro la collocazione urbanistica delle costruzioni medievali sommerse, i muretti di pietra, le linee esterne e le pareti interne degli edifici, i resti dei viottoli di selciato che collegavano i due impianti, gli scheletri delle piante sommerse, con i rami protesi orizzontalmente, in una posizione innaturale. Credo che questo sia il lago più trasparente che io abbia mai visto, probabilmente uno dei più trasparenti d'Europa, anche considerando i tanti anni di esperienza alle spalle e tante immersioni effettuate nei laghetti glaciali alpini, e sorge spontaneo il confronto con il contenuto della bottiglietta d'acqua minerale che ho acquistato poco fa, nel bar dell'autostrada. In pochi attimi, sono passata dall'ammirare I'arcobaleno rosso papavero-verde spiga della piana del Tirino, che sembra un sogno ed è realtà, allo splendore trasparente-turchese del lago di Capo d'Acqua, che è realtà e contemporaneamente è sogno, leggenda pura. Piccolo, di un azzurro chiaro e brillante, il laghetto ha una forma irregolare, trattenuto come nel palmo di una mano. Di proprietà privata, esso si trova a circa 300 metri slm, all'interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, ed è alimentato da molte sorgenti in superficie e altrettante sommerse. Lentamente, l'acqua sorgiva che attraversa il substrato carsico di Campo Imperatore - il più vasto altopiano carsico d'Europa a 1.800 metri di quota - si arricchisce di minerali e alimenta il bacino, sgorgando da sorgenti sommerse, fra il selciato di quegli antichi viottoli che un tempo erano percorsi da contadini ed animali da soma, che portavano il loro prezioso carico di granaglie alle macine dei mulini. La possibilità di sfruttare la forza motrice dell'acqua attraverso la costruzione di canali a diretto contatto con lo scorrimento dei corsi d'acqua, nei secoli scorsi ha permesso lo sviluppo di una serie attività, la nascita di opifici che assicuravano un labile benessere agli abitanti di queste terre isolate. Per questo, i mulini ad acqua costituirono, un tempo, uno dei perni dell'economia locale. Poi le diminuite richieste d'uso, I'introduzione di mulini a cilindri elettrici, il decremento della portata dei corsi d'acqua e quindi la mancanza di energia, hanno costretto ad abbandonare queste strutture. Dante mi riporta alla quotidianità, E un generoso anfitrione ed ha in serbo per noi varie sorprese che tutti apprezzeremo: per prima cosa, ha avvisato un vicino ristorante che, nonostante I'orario inconsueto, ci ha accolto a braccia aperte. Mangiamo sulla veranda prospiciente i prati fioriti: il profumo dei fiori di campo e delle erbe selvatiche si fonde con gli aromi della tavola imbandita... ed E un invito a nozze.
SOSPESI NEL PASSATO
Pinneggiamo verso il cuore del laghetto, in direzione del primo mulino, che è il più integro, anche se mancano le pale. Ed allora il sogno ricomincia: mentre poco fa era solamente la mia vista che pareva essere stordita. ora tutti i miei sensi sembrano essere andati contemporaneamente in tilt. Quest'acqua è limpida come quella che disseta sotto il solleone, fresca e piacevole, mi sembra di essere sospesa nel nulla, come un astronauta all'interno della navicella spaziale. Quest'acqua è impalpabile come I'aria, fluida come la seta. fresca come una nota cristallina... e conserva e ci svela un segreto antico: le mura medievali. Tutto è curato nel dettaglio, con architetture che uniscono la ricerca della bellezza e dell'armonia a quella di un'estrema funzionalità. Ci sono passaggi, scorci, archi e forme architettoniche che sono molto suggestivi, si ergono su uno sfondo azzurro. come se fossero ancora emersi, come se un cielo terso e frizzante fosse il loro naturale palcoscenico. Esploriamo i resti del mulino, notiamo una vasca di contenimento dell'acqua, mentre alcuni tronchi d'albero levigati dal tempo si alzano dal fondo, aumentando la stranezza del luogo. Sto nuotando fra le costruzioni di un villaggio che sembra ancora vivo, abbandonato da poco. Pochissime alghe e nessun sedimento si sono attaccati alle mura a secco, che hanno conservato la loro policromia, i loro interstizi, la sovrapposizione, e cosi sembrano ancora attuali. E’ intensa la tentazione di mettermi in posizione verticale per far parte di questo piccolo quartiere, come se stessi camminando: mi trattiene solamente la consapevolezza del sedimento che si è depositato sul fondo e che ogni gesto incontrollato può sollevare, intorbidando quest'acqua magica. Vietato anche appoggiarsi alle pietre, perchè alcuni dei massi di copertura sono semplicemente appoggiati e potrebbero precipitare per un nonnulla. Girovagando fra queste meraviglie, mi sembra strano non incrociare alcun vecchio abitante, alcuna presenza umana: il panorama è cosi completo ed ampio da non credere che sia ovviamente disabitato. Dante parlava di quaranta metri di visibilità, ed effettivamente il mio sguardo si perde davvero lontano. Nuotiamo verso destra in direzione di un ex colorificio: I'ambiente E caratterizzato da piante acquatiche di un verde molto chiaro, che formano intricati ammassi vegetali: un soffice tappeto erboso che cela completamente il fondale e le gustose trote fario che vi cercano nascondiglio. Ci sono anche lunghissimi filamenti di alghe ravvicinate, simili a sottili canne di bambù, che formano cespugli molto alti e separati uno dall'altro. Ora siamo nei pressi del colorificio, che è solo parzialmente sommerso dall'acqua e conserva tutta la maestosità della sua costruzione. Un folto tappeto di alghe color smeraldo lo ha circondato, come se fosse il prato del giardino. Ma oggi non c'è più tempo di continuare questa esplorazione fantastica: distratti dalla bellezza che ci circonda e dalla bassa profondità, non ci siamo accorti di essere in acqua da ben più di un'ora e la nostra riserva d'aria si sta esaurendo. Il punto di uscita è poco distante e con una breve pinneggiata in superficie, che mi permette di ammirare le verdi colline che circondano il laghetto, raggiungiamo gli amici che ci attendono stesi sull'erba, godendosi un caldo sole primaverile. Abbiamo trascorso una giornata davvero ricca di natura, arte e cultura che si ripeterà il giorno successivo, quando ci dedicheremo all'esplorazione del secondo mulino sommerso. L’indomani entriamo in acqua, facendo attenzione a non sollevare sospensione. lungo la riva: effettivamente non c'è una parete vera e propria, ma passiamo gradualmente e con lievissima pendenza dalla linea di costa al fondo del lago. Percorrendo il tragitto che ci separa dal mulino, incontriamo diversi gorgoglii di bolle, i punti in cui la falda acquifera emerge, ciò che rende Capo d'Acqua cosi trasparente. Le mura del secondo mulino ci appaiono da lontano: in condizioni peggiori del primo, ma sono ben visibili le pale, parzialmente coperte dal sedimento. Qui gli spunti fotografici non sono molti, i muretti a secco sono più bassi e molto danneggiati, ma conservano un loro fascino. Decidiamo di dare un'occhiata lungo la costa nella speranza d'incontrare qualche trota fario, e raggiungiamo la piccola diga che ha originato questo invaso, nato nella seconda metà degli anni Sessanta come riserva idrica per I'irrigazione dei terreni circostanti; oggi è utilizzato anche dall'Enel per alimentare una centrale idroelettrica. Beh, chi di noi si sarebbe aspettato di poter godere di esperienze tanto varie ed emozionanti nello spazio temporale di un solo week-end!

Franco Banfi e Sabrina Monella

Fonte: Rivista "Mondo Sommerso" Novembre 2006 n° 11